Articolo di Mario Benassi e Luciano Pilotti
tratto da "Il Sole 24 Ore" del 7 Gennaio 2001
Fondazioni, la via
giusta per gli atenei
Quale che sia il
giudizio sulla riforma universitaria recentemente varata, e
sulla sua efficacia, è indubbio che i gradi di libertà dei singoli atenei
sono fortemente aumentati. Le università, pur in presenza di non pochi
vincoli, potranno fare scelte maggiormente autonome rispetto al passato, con
riferimento a tre aree che sino a poco tempo fa erano regolate dal centro:
la progettazione di percorsi formativi e di ricerca
coerenti con le
dinamiche di medio-lungo termine dei mercati del lavoro;
la scelta delle figure o dei profili professionali
su cui investire a
medio-lungo termine in forme e modi più coerenti con le esigenze dei mercati
del lavoro, della ricerca, dell'innovazione e delle fonti di finanziamento;
la selezione del personale docente.
Queste
tre aree presentano non poche criticità, se non altro perché
obbligano ciascuna università a disegnare e realizzare un rapporto robusto
con i mercati di utilizzazione dei propri prodotti, in una situazione di
crescente concorrenza tra piccoli e grandi atenei e, in non pochi casi,
all'interno tanto dei primi quanto dei secondi.
In questo contesto sarà necessario istituire rapporti più efficaci con gli
utilizzatori, assumendo un forte orientamento al cliente primario, ma allo
stesso tempo saper sviluppare innovazioni applicative, in modo da spostare
risorse dalla formazione standard a quella superiore e a maggiore contenuto
di valore. Questa condizione di "strabismo" - saper interpretare le
domande
locali, rispondendovi con prontezza, e allo stesso tempo svolgere un ruolo
progettuale e di creazione del nuovo - richiede modelli organizzativi che
facciano da ponte con le istituzioni territoriali.
A questo riguardo, va segnalata e accolta positivamente la proposta di
alcuni grandi atenei, fra cui il Politecnico di Milano e l'Università di
Torino, per l'istituzione di Fondazioni utili ad accogliere la presenza di
soggetti privati e pubblici cointeressati alle funzioni primarie
dell'università. Lo strumento della Fondazione può essere attivato tanto dai
grandi quanto dai piccoli atenei, anche se probabilmente con finalità e
modalità differenti.
Per i grandi atenei si tratta di snellire le funzioni gestionali di
amministrazione delle relazioni con i mercati di utilizzo, per favorire lo
scambio-arricchimento di risorse utili ad alimentare l'offerta formativa di
livello superiore. Un'offerta che si è rivelata finora scarsissima o
largamente delegata a strutture esterne, come le numerosissime Scuole o
corsi di Management nati all'esterno delle università, a volte senza alcun
controllo né di qualità, né di costo, e spesso esclusivamente alimentate da
fondi pubblici.
In questo contesto, il ruolo delle Fondazioni potrebbe essere quello di
guidare un processo di reinternalizzazione, necessario sia per esercitare un
adeguato controllo sugli standard qualitativi, sia per un'adeguata
governance dei costi, sia, infine, per consentire la fluidificazione delle
relazioni di prestazione con i mercati stessi. Sul modello delle Scuole di
amministrazione aziendale, nate in ambito universitario con forte
coinvolgimento tanto di privati quanto di istituzioni pubbliche: queste
Scuole - Sda dell'Università Bocconi, Scuola di amministrazione aziendale
diTorino, ecc. - rappresentano oggi in Italia un importante punto di
riferimento per l'alta formazione post-laurea.
In questo caso il contenitore organizzativo dovrà essere snello e autonomo
dal punto di vista gestionale. E certo il modello della Fondazione si presta
bene a questo scopo, per il grado di managerializzazione realizzabile e per
l'apertura dell'assetto societario a soggetti esterni, che possono
contribuire in termini sia di risorse finanziarie, sia di competenze
gestionali, sorrette da adeguati controlli di prestazione.
Da questo punto di vista, si tratta di riprogettare alcune componenti delle
attività tradizionali delle università secondo criteri di mercato. Senza
intaccare i principi base della libertà di insegnamento e dell'autonomia di
ricerca, ma semmai contribuendo al loro rinnovamento in termini
effettivamente multidisciplinari, in modo da aumentare la varietà dei
prodotti formativi e di ricerca.
Le Fondazioni possono svolgere un ruolo guida, tenendo conto della necessità di
accorciare e rendere maggiormente dinamiche le relazioni con diversi soggetti,
sia territorialmente vicini, sia lontani. Senza l'apporto
continuativo di soggetti esterni, quali imprese e istituzioni, proprio le
attività innovative delle università rischiano di incontrare difficoltà
sempre maggiori. Si pensi, ad esempio, all'articolazione e alla revisione
dei curricula, alle attività di placement, alla costruzione di percorsi di
stage, e così via.
Da questo punto di vista le Fondazioni devono saper svolgere un ruolo di
guida, costruendo la mappa competitiva entro cui situarsi. Ecco allora la
necessità di guardare a Barcellona o a Siviglia, a università inglesi come
Cardiff o Manchester, a università francesi medio-grandi, come Lione o
Tolosa, oppure a grandi campus multispecializzati come Lovanio, in Belgio, o
Rotterdam, in Olanda.
Per i piccoli atenei le Fondazioni sono chiamate a svolgere un ruolo per
certi versi differente, anche se in parte le considerazioni sviluppate sopra
appaiono largamente estensibili. Nel caso dei piccoli atenei il problema
principale, rispetto al quale le Fondazioni possono assumere un ruolo
fondamentale, attiene alla costruzione di rapporti duraturi di
coordinamento, e all'individuazione di percorsi sostenibili a livello di
singole sedi.
È infatti evidente che il mutamento delle condizioni di contesto renderà
necessario un intervento su tre fronti:
quello della specializzazione relativa (non vi sono molti spazi né molte
opportunità per iniziative di semplice duplicazione, soprattutto quando la
dimensione diviene un fattore importante a livello di macro-aree e di
macro-bacini);
quello del coordinamento e della coprogettazione (decidere "chi fa che
cosa" non è sufficiente: occorre infatti avviare iniziative di
fertilizzazione incrociata, tali da rompere le barriere disciplinari,
temperando gli effetti negativi dei veti incrociati tra i vari centri di
iniziativa, come le facoltà e i dipartimenti;
quello del disegno di nuove modalità formative,
secondo una logica di
adattamento continuo alle variazioni della domanda (il che non vuole affatto
ipotizzare un appiattimento su bisogni non meglio definiti e definibili, quanto
uno sforzo costante di includere e responsabilizzare altri soggetti, dalle
imprese alle istituzioni locali, in programmi ambiziosi).
A
ben guardare, le Fondazioni possono rivelarsi un'opportunità per atenei di
dimensioni e profilo differenti, a patto che sappiano guidare l'offerta
formativa verso livelli di eccellenza e siano in grado di invertire la
tendenza alla frammentazione, alla duplicazione e al localismo esasperato.
Solo in questo modo è possibile costruire un network della formazione, della
ricerca e dell'innovazione applicativa coerente con i bisogni di ampi
sistemi produttivi locali, regionali o multiregionali.